Tre ragazze di quindici anni si sono fermate per strada a chiacchierare. Hanno i libri di scuola legati con la fascetta e le gonnelline pieghettate anni cinquanta; ma è una moda di ritorno, sono gli anni ottanta.
Dovevo andarmene. Fuggire. Solo questo mi era ben chiaro. Anzi lo divenne d’improvviso, in una frazione di secondo, come una luce o un richiamo nel buio della memoria. Perché mi pareva di non ricordare nulla, di non sapere nulla, di non essere… e quella parola fu come una scarica elettrica improvvisa e dirompente: fuggire. Perché?
Erano, in generale, due ragazzine obbedienti, ed in particolare non erano solite disobbedire alla nonna. “Ci serve la pesciera grande,” la sentirono dire in cucina, rivolta alla madre e alla zia, “quella che abbiamo prestato ad Alvise l’altra sera. Ora chiedo alle bambine.”
È un’ ossessione.
Non c’è altro modo per indicarlo.
È un topo, uno schifoso topo che entra nel pianoforte e comincia a rosicchiare i tasti, ha cominciato col MI basso e in due ore è arrivato al SOL.
“Dio ti ringrazio, Dio ti ringrazio, ti ringrazio” la mano accarezza il ventre in maniera circolare, “Grazie Dio per avermi aiutato”, continua “grazie”.
Novella XII
Macheruffo de’ Macheruffi ama una Lagia de’ Ramacciotti e non può torla per povertà; per diversi accidenti è tratto in Baudac e nel regno d’Otorongo, donde raunata gran ricchezza in Vinegia si torna per imbolare detta Lagia; con quel che segue.
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