Il vice commissario Mori aveva un fiducia sconfinata nei segnali che gli lanciava quella parte irrazionale del suo cervello, quella che lui si era abituato a definire la sua centralina d’allarme. Nonostante il freddo e l’umidità quasi gli bloccassero ogni facoltà, quella centralina, quella mattina, gli diceva che era tutto troppo semplice. Quando l’agente di turno, dalla sala operativa, alle quattro del mattino, l’aveva brutalmente strappato ai suoi sogni per dirgli che c’era stato un morto a causa di una esplosione in una villetta, lui si era detto che doveva trattarsi della solita fuga di gas. E quando era arrivato sul posto, una ventina di minuti più tardi, la sua ipotesi sembrava pienamente confermata dall’opinione dei vigili del fuoco e dalle testimonianze dei vicini. La villetta presentava uno squarcio nel muro in corrispondenza della finestra della cucina. All’interno l’esplosione aveva scaraventato il corpo dell’uomo contro il muro del corridoio. Un listello di legno, forse una parte del telaio della porta o di un mobile della cucina, si era conficcato nel petto dell’uomo passandolo da parte a parte mentre decine di schegge del vetro della stessa porta avevano cosparso il corpo di innumerevoli ferite. I vigili del fuoco se ne stavano andando dopo aver spento i piccoli focolai causati dall’esplosione. La cucina doveva essere totalmente satura di gas se l’esplosione aveva provocato quello sfacelo. Apparentemente non c’era alcuna necessità di indagare ulteriormente ma, probabilmente spinto dalla consuetudine, il vice commissario aveva ispezionato anche il resto della villetta. Lo spessore di alcuni muri dimostrava che si trattava di una casa costruita molti anni prima, mentre alcuni dettagli: i pavimenti, gli infissi, i radiatori dei caloriferi, facevano pensare che fosse stata ristrutturata di recente.
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